Nuove norme per chi si richiama all’ambiente e alla sostenibilità nel pubblicizzare i propri prodotti. È entrata in vigore la nuova versione dell’articolo 12 del Codice di autodisciplina pubblicitaria che regola l’uso dei pregi ambientali di un prodotto.
Attenzione a usare i green claims impropriamente. Dalla fine di marzo è entrato in vigore un nuovo articolo del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale che dovrebbe regolamentare la “green advertising” per sgombrare così il campo da eventuali “greenwashing”. D’ora in poi i benefici di carattere ambientale vantati dalle aziende dovranno: “basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili” e la comunicazione “deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell’attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono” . Che tradotto vuol dire: non è più possibile usare il messaggio targato green come mera leva di marketing, senza che questo non sia supportato da azioni concrete e soprattutto da verifiche attendibili sui prodotti. Almeno sulla carta.
“Il nuovo articolo del Codice di Autodisciplina codifica le numerose indicazioni provenienti dalla giurisprudenza del Giurì sul come fare “green advertising” senza fare “green washing”, ovvero ammantare la comunicazione commerciale di claims pro ambiente, che però non reggono del tutto o nella misura vantata un vaglio di merito approfondito. E ciò a tutto vantaggio delle aziende che “green” lo sono davvero”, ha affermato Vincenzo Guggino, Segretario Generale IAP.
Un passo in avanti verso la regolamentazione di un ambito che in Italia è ancora indietro rispetto ad altri paesi, come ad esempio l’Inghilterra dove il greenwashing non passa inosservato. Nel Regno Unito l’Antitrust è addirittura intervenuta perchè si stava misficando il “Green Deal” e le soluzioni statali ad esso destinate. In questo caso, ad essere sotto esame, non tanto il messaggio quanto il contenuto.
A finire nel mirino dell’Advertising Standards Authority, la Green Deal Finance Company. E la scintilla è stata un claim, in cui si dichiara che i suoi prestiti sono i più economici sul mercato. L’Authority ha impugnato un reclamo contro la Green Deal Finance Company, finanziata con denaro pubblico (grazie anche alla Green Investment Bank) nata per garantire, in buona sostanza, l’accesso al credito. Ebbene, le regole sull’advertising sarebbero state infrante da alcuni claim contenuti in una brochure che affermavano come i piani di prestiti destinati a migliorare l’efficienza energetica degli immobili fossero i più vantaggiosi in circolazione. Dalla ASA hanno comunicato alla GDFC di assicurarsi che tutti i claim fossero supportati da prove concrete e di inserire sempre abbastanza informazioni negli annunci, in modo che in futuro tutta la comunicazione pubblicitaria fosse qualificata in maniera consona. Un’iniziativa che naturalmente ha destato un vespaio politico. Caroline Flint, parlamentare laburista, ha accusato il governo: “Invece di creare claim ingannevoli, dovrebbero affrontare le pecche del sistema dei ‘green deals’ in modo che diventi davvero un affare per il consumatore”.
“Create problems, than offer solutions”? E questa è una storia che conosciamo bene anche in Italia. Peccato però che nessuno si occupi di controllare che attendibilità hanno i messaggi dedicati ai “green deals” e quali gli effettivi benefici per il consumatore.
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