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Ogni anno vengono sprecate e perse circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, un terzo della produzione mondiale e l’equivalente di quasi 1 trilione di dollari in valore. Un quarto del cibo sprecato basterebbe per nutrire i 795 milioni di persone che soffrono la fame.

LO SPRECO IN ITALIA OK

Un paradosso eloquente e drammatico, che richiede un impegno concreto e urgente da parte di tutti. In occasione della Giornata dell’Ambiente, che quest’anno avrà la sua celebrazione ufficiale a Expo Milano 2015, la Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition rilancia l’obiettivo del Protocollo di Milano: ridurre lo spreco di cibo del 50% entro il 2020.  Come? Intervenendo sull’intera filiera, dagli agricoltori ai consumatori: con attività di prevenzione, per evitare gli sprechi fin dall’inizio del processo produttivo, e poi imparando a riutilizzare gli avanzi di cibo per l’alimentazione umana e per quella animale, ed infine per la produzione di energia e compostaggio.

In Italia si spreca il 35% dei prodotti freschi (latticini, carne, pesce), il 19% del pane e 16% di frutta e verdura. Lo spreco di cibo nel nostro Paese determina una perdita di 1226 milioni di m3 l’anno di acqua, pari al 2,5% dell’intera portata annua del fiume Po, e produce l’immissione nell’ambiente di 24,5 milioni di tonnellate CO2 l’anno, di cui 14,3 milioni per gli sprechi domestici. L’assorbimento della sola CO2 prodotta dallo spreco domestico in Italia richiede una superficie boschiva maggiore di quella presente in Lombardia.

Paradosso_globale_spreco_ITA“Gli sprechi alimentari hanno un impatto negativo sull’ambiente, sull’economia, sulla sicurezza alimentare e sulla nutrizione – afferma Ludovica Principato, Dottoranda in Management presso l’Università la Sapienza di Roma e ricercatrice della Fondazione BCFNIl carbon footprint globale del cibo perso e sprecato a livello globale è di circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 ed equivale al 6-10% circa delle emissioni di gas serra antropogeniche,cioè prodotte dall’uomo. Se gli sprechi alimentari fossero rappresentati da un Paese, questo sarebbe il terzo principale produttore di anidride carbonica, dopo Stati Uniti e Cina. Lo spreco inoltre comporta una riduzione della disponibilità globale e locale di cibo ed ha un impatto negativo sull’accesso al cibo da parte delle persone a causa ad esempio dell’aumento dei prezzi, con ripercussioni soprattutto sulla parte più vulnerabile della popolazione come le donne e i bambini.”

“Il cambiamento climatico sia in termini di riscaldamento globale che di scarsità delle precipitazioni in alcune regioni del Pianeta  – commenta Riccardo Valentini, professore ordinario all’Università della Tuscia e membro dell’Advisory Board BCFN – contribuirà ad aumentare i prezzi globali dei beni alimentari in una forbice dal 3% all’84% entro il 2050, con serie minacce per la produzione di cibo e la sicurezza. Attualmente sono oltre 800 milioni le persone che soffrono gravemente di malnutrizione nel mondo e circa 36 milioni muoiono per mancanza di cibo. Affrontare con successo il problema dell’accesso al cibo è quindi la grande sfida degli anni a venire”.