Senza rendercene troppo conto negli ultimi anni l’Italia ha sviluppato una competenza o, come si direbbe in gergo aziendale, un vero e proprio know how: costruire tavoli. Tavoli a cui si siedono commissari, tecnici, funzionari ministeriali per discutere di regolamenti, valutazioni di impatto ambientale e studi, ovviamente con verifiche e contro verifiche, pareri e relazioni tecniche. Tavoli che passano da sedi ministeriali a regionali, provinciali o comunali (e viceversa) e che ogni volta che vengono “costruiti” comportano un gettone di presenza per chi ha la fortuna di partecipare al progetto.
Tavoli che durano almeno dieci anni. Se a partecipare poi è un nuovo soggetto (istituzionale o privato, poco importa) ecco che il problema del nuovo venuto è subito l’occasione per convocare un altro tavolo. E così all’infinito.
Peccato però che le carte (perchè solo di quello stiamo parlando) finiscono quasi sempre in un bel cassetto (e qua sviluppiamo un altro know how) e alla fine non si decide mai nulla.
A forza di non decidere, oltre a rimanere un paese di falegnami (lavoro assolutamente decoroso che ha fatto la ricchezza di molti distretti industriali) ci troviamo a dover scegliere tra comprare un pezzo di parmigiano o regalare un vestito nuovo ai nostri figli. Le due spese non si possono fare contemporaneamente perchè lo stipendio è lo stesso di quindici anni fa e nessun tavolo si è mai occupato di sviluppare una vera e propria politica industriale degna di un paese moderno. Al contrario tanti, anzi tantissimi, sono stati i tavoli per definire casse integrazioni e contratti di solidarietà.
L’energia è sicuramente uno di quei temi dove il tavolo dovrebbe lasciare finalmente il posto a un piano strategico di politica energetica nazionale che, ci auguriamo, non finisca in un bel cassetto. Il dubbio è che, passati i tenici tanto criticati, i prossimi amministratori preferiscano lasciarci nelle incertezze con un futuro fatto di sacrifici e…..di altri tavoli. Del resto per quello siamo riconosciuti in tutto il mondo e non dobbiamo certo lamentarcene.
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