Riceviamo e volentieri pubblichiamo da Francesco Ranci, già giornalista del Quotidiano Energia che oggi vive negli Stati Uniti
Circolano in Italia, e negli stessi Stati Uniti, opinioni secondo le quali, al di sotto delle differenti argomentazioni retoriche utilizzate dai due principali partiti politici statunitensi, in fin dei conti, non ci sarebbero sostanziali differenze politiche. Sono opinioni, oggi, sostanzialmente errate – sia in generale che per quanto riguarda, nello specifico, la politica energetica e ambientale. Alcuni fatti di una certa rilevanza, e di non eccessivamente complessa interpretazione, mi paiono sufficienti a dimostrarlo.
Partirei con la ritirata dall’Iraq, l’uccisione di Osama bin Laden e la ritirata dall’Afghanistan. Nel 2002, pur potendo presumere che fosse in Pakistan, Bush dichiarava di non preoccuparsi di dove bin Laden potesse essere : e nel 2003 ordinava l’invasione dell’Iraq. Autorevoli commentatori invitavano a non scaldarsi troppo nel 2008: Obama avrebbe comunque fatto “gli interessi degli Stati Uniti”. Ma c’e’ modo e modo di concepire, prima, e di tutelare, poi, i propri interessi ! Se la legittimita’ dell’operazione bin Laden puo’ essere messa in discussione dal punto di vista del diritto internazionale e delle stesse leggi statunitensi, l’invasione dell’Iraq ha sollevato problemi assai piu’ gravi. Dal punto di vista politico, emerge chiaramente una differenza fra due modi di tutelare “l’interesse nazionale” degli U.S.A. Ed essendo la pace il presupposto necessario della cooperazione internazionale, che a sua volta e’ indispensabile per risolvere le problematiche energetiche e ambientali, si tratta di una differenza, direi, fondamentale.
Sul tema del mutamento climatico e dello sviluppo delle fonti rinnovabili, le posizioni sono, a parole, diametralmente opposte, e nel famoso “stimolo” all’economia era fissato, fra l’altro, l’obiettivo di raddoppiare la produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2010. Nei fatti, per non farla troppo lunga: l’energia elettrica da fonte solare e’ passata da 2 a 20 TWh/a fra il 2008 e il 2013, quella eolica da 55 a 160. A marzo del 2013, per la prima volta nella storia, il 100% della capacita’ produttiva aggiunta alla rete elettrica statunitense, 44 MW, e’ stata di fonte solare. Nei primi tre mesi del 2013, l’eolico ne ha aggiunti 958, il solare 537 e il gas naturale 352. Con 5 di idroelettrico e 46 dalle biomasse si e’ raggiunto il totale. In confronto, nel primo trimestre 2012 erano entrati in produzione 808 MW di una centrale a carbone, 12 da olio combustibile e 1.145 di centrali a gas naturale (oltre a 1.431 eolici, 254 MW solari, 102 dalle biomasse e 70 geotermici). E presentando di recente il suo Piano per il clima, che fissa un termine preciso (2015) entro il quale le emissioni di CO2 avranno un costo anche in Usa, Obama ha fissato l’obiettivo di raddoppiare nuovamente la produzione di energia rinnovabile.
Per quanto riguarda invece l’improvviso aumento della produzione statunitense di petrolio e gas degli ultimi anni, ampiamente riconducibile allo sfruttamento di risorse non convenzionali (shale) tramite tecnologie di fratturazione della roccia altamente invasive (fracking), nel 2004 l’agenzia per la protezione dell’ambiete (EPA) aveva stabilito che non ci sono pericoli per l’ambiente e nel 2005, a buoni conti, il Congresso repubblicano le ha anche tolto la parola sull’argomento acqua potabile. Quando, dopo la crisi economica e il disastro ecologico del Golfo del Messico, le imprese sono tornate sul pezzo, Obama ha risposto che bisogna mettere in campo una regolazione federale che protegga l’ambiente da emissioni, sostanze tossiche nell’acqua potabile, etc. , cosa che sta facendo, e che gli vale da un lato l’accusa di tarpare le ali al boom energetico e dall’altro lato quella di non proteggere l’ambiente. Si puo’, dal punto di vista ambientalista, legittimamente ritenere che avrebbe dovuto dire “no”, e basta. Ma non che stia comportandosi in maniera molto diversa dal predecessore – cosi’ come a livello dei singoli stati le amministrazioni Democratiche (New York, ad esempio, dove e’ ancora tutto bloccato) tendono a comportarsi diversamente da quelle Repubblicane (North Dakota, Texas, e altri). Oltre alle considerazioni di ordine geopolitico, va tenuto presente che il costo di questi carburanti fossili e’ piuttosto elevato, rispetto al petrolio iracheno ad esempio, e il loro sviluppo non mette quindi fuori dal gioco le rinnovabili.
Un cenno puo’ meritare, infine, l’auto elettrica, demonizzata e ridicolizzata dai commentatori vicini ai Repubblicani (Fox News) pochi mesi dopo il suo esordio sul mercato – e subito da loro archiviata come fallito esperimento dirigistico, simbolo del fallimento dell’intera “green economy”. Le vendite, invece, anche qui, continuano. La “famigerata” Volt nel 2012 e’ stata acquistata oltre 23.000 volte in U.S.A. (41.000 fra fine dicembre 2010 e giugno 2013). Nel 2013 compete con la Nissan Leaf anche per il titolo di auto elettrica piu’ venduta al mondo. Per fare un raffronto, Marchionne ha lanciato la 500 sul mercato Usa prevedendo di venderne 50.000 nel 2011: ne ha vendute solo 20.000. Boom nel 2012, con 72.000 pezzi venduti, e la 500 ha oggi superato le 100.000 vetture in Usa. E, giustamente, tutti a togliersi il cappello. Adesso, pare che proporra’ un modello elettrico, la 500e – prodotta in Messico esclusivamente per il mercato statunitense. Da italiani si potra’ anche fare il tifo per la Fiat, ma bisognera’ riconoscere a Obama di aver aperto la strada alla 500 elettrica – che peraltro ha una sua clientela di riferimento non proprio identica a quella della Volt.
Nel 1995, i Repubblicani guidati da Newt Gingrich paralizzarono per mesi il funzionamento del governo federale per costringere l’allora presidente democratico Clinton a privatizzare l’assistenza sanitaria pubblica per gli “over 65” (Medicare, eredita’ degli anni ‘60) . Nel 2006 l’amministrazione Bush fece il tentativo di privatizzare il sistema pensionistico pubblico (Social Security, eredita’ degli anni ‘30), scontrandosi, tuttavia, con settori dello stesso partito Repubblicano, che in quel momento controllava Camera e Senato (e prefigurando la sconfitta elettorale).
Passando alla risposta, dell’amministrazione Obama, alla crisi economica epocale iniziata nel 2007 – ed esplosa proprio a ridosso delle presidenziali 2008 (contribuendo al risultato elettorale stesso) – si e’ materializzata soprattutto in un massiccio intervento statale nell’economia (il famoso “stimolo”), varato nel 2009 dal Congresso con soli tre voti Repubblicani. Allo stesso modo, nessun esponente repubblicano ha votato a favore della riforma sanitaria, varata nel 2010 dal Congresso (pochi mesi prima delle elezioni che hanno tolto ai democratici la maggioranza alla Camera, ancora oggi controllata dai Repubblicani). Non si tratta di episodi, riferibili a personalita’ o circostanze storiche particolari, ma di uno scontro dai contorni ben chiari sul tema dell’espandere, o contrarre, controllo e intervento pubblico nell’economia – dove le due parti hanno obiettivi diametralmente e (in particolare i Repubblicani) radicalmente opposti .
Dati i tempi necessariamente lunghi, molto piu’ lunghi di quelli presi in considerazione da qualsiasi logica di mercato, che sono necessari a risolvere le questioni energetiche e ambientali, nel senso di evitare il rischio di estinzione della specie, anche qui la differenza non andrebbe, mi pare, sottovalutata. Solo attraverso la politica, non certo sperando nelle ipotetiche virtu’ auto-regolatorie “libero mercato”, si possono predisporre dei tentativi di soluzione – e solo a patto, naturalmente, che la politica affronti il problema.
Potrei continuare ma, volendo a questo punto concludere, credo che il motivo per cui da diverse parti si nega ostinatamente la svolta epocale portata dall’elezione di Obama non possa che trovarsi nella volonta’ di presentare le proprie soluzioni come unica “alternativa” possibile.
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