Sono 250 le piattaforme collaborative attive in Italia al 2013; stimati in 23 milioni di euro la raccolta fondi effettuata dalle 27 piattaforme di crowdfunding attive: dall’auto alla casa vacanze, in Europa spopola la ‘sharing economy”
C’è stata la web economy con l’avvento di Internet, poi la green economy che ha coniugato ambiente e sviluppo economico, poi ancora la blue economy, vale a dire la green economy 2.0 e ora, è la volta della sharing economy. Vale a dire la condivisione di beni e servizi che, almeno in Europa, sembra essere la nuova tendenza. Secondo i dati dell’Observatoire de la Confiance, l’83% dei francesi preferisce avere accesso a un bene piuttosto che possederlo, il 23% pratica il baratto e il 50% aderisce a qualche forma di consumo collaborativo. Per Thepeoplewhoshare, movimento britannico della sharing economy, l’81% degli inglesi dichiara che condividere li rende più felici, mentre l’85% dei tedeschi tra i 18 e i 25 anni di età ritiene che fare a meno di un’auto di proprietà sia più semplice che non fare a meno di un telefono cellulare.
E in Italia? Secondo una ricerca dell’Università Cattolica di Milano, le piattaforme collaborative attive in Italia al 2013 sono 250; l’Italian Crowdfunding Network ha stimato in 23 milioni di euro la raccolta fondi effettuata dalle 27 piattaforme di crowdfunding attive in Italia al 2013 (16 in fase di avvio), mentre secondo una ricerca Doxa Duepuntozero il 13% degli italiani ha già provato un servizio collaborativo e un altro 10% è interessato a farlo.
Cinque sono le tendenze principali dell’economia collaborativa: economia della condivisione o consumo collaborativo (circolazione di beni e servizi tra individui attraverso condivisione, baratto, vendita, noleggio, prestito, dono, promuovendo l’accesso invece del possesso, riducendo anche la produzione di rifiuti); crowdfunding e credito peer-to-peer (credito tra privati per finanziare progetti creativi, sociali e di impresa); open knowledge (riuso e diffusione di conoscenze, alla base di software libero, creative commons, open science); open design o open manufacturing (processi democratici di progettazione, produzione e distribuzione di beni materiali); open governance (piattaforme di cittadinanza attiva, bilanci partecipati e così via
Esempi di economia collaborativa nel nostro paese includono i ”rami” italiani di piattaforme diffuse a livello internazionale come Airbnb e Blablacar, piattaforme di social eating (Gnammo), ma anche realtà Made in Italy ormai conosciute in tutto il mondo come Officine Arduino per la progettazione di hardware e software open source, e startup che valorizzano in chiave collaborativa e di riattivazione del tessuto produttivo locale grazie alle nuove tecnologie eccellenze italiane come il design (SlowD) e la moda (Openwear). A queste si aggiungono i sempre più numerosi spazi di coworking, in cui giovani professionisti condividono spazi per lavorare e progettare in sinergia; la rete Make in Italy, per diffondere e valorizzare la cultura dei makers e dei fablab; le oltre 40 piattaforme di crowdfunding grazie alle quali, in una fase di drastica contrazione delle vie tradizionali del credito, è stato possibile finanziare idee innovative di impresa così come progetti sociali, culturali e di recupero del patrimonio urbano.
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