E’ di mercoledì 5 febbraio la notizia che il Parlamento Europeo ha votato a favore di obiettivi vincolanti per la riduzione delle emissioni di CO2 entro il 2030. Una risoluzione priva di valore legislativo ma dal fortissimo valore politico.
Si alza l’asticella dei vincoli per il pacchetto clima al 2030. Il 5 febbraio l’assemblea di Strasburgo con 341 voti a favore, 263 contrari e 26 astensioni ha chiesto che vengano fissati per il 2030 tre nuovi target vincolanti: 40% di riduzione della CO2 rispetto al 1990, 30% di consumo di energia da rinnovabili ed un aumento del 40% dell’efficienza energetica. E naturalmente, oltre alle polemiche ancora in corso nei singoli Stati, si sono già espressi i favorevoli e i contrari in seno alla stessa Commissione.
Le motivazioni a favore sono state descritte da una delle corrrelatrici della mozione Anne Delvaux (PPE, Belgio) ” Il prezzo dell’energia colpisce gravemente le imprese, l’industria e, in particolare, i nostri cittadini. Se vogliamo ridurre le nostre importazioni di energia dobbiamo produrre di più in Europa, facendo un uso migliore e più efficiente delle nostre risorse. Avere un mix energetico ampio, con una maggiore efficienza energetica, è l’opzione migliore per ridurre le emissioni di gas serra, per favorire le nuove tecnologie e l’innovazione, per creare posti di lavoro e cambiare le nostre economie in economie più verdi. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di tre obiettivi vincolanti “.
Di tutt’altro avviso Konrad Szymański (ECR, Polonia) relatore della commissione per l’industria “Questo risultato non è soddisfacente. Stiamo cercando di promettere a noi stessi, ai cittadini europei e all’industria europea, che questa nuova politica climatica sarebbe realistica, flessibile ed economicamente efficiente. Questi sono ottimi presupposti. Tuttavia l’obiettivo di riduzione delle emissioni dopo il 2020 non è realistico, è una via che porterà a ridurre la competitività dell’industria europea. L’adozione di tali obiettivi prima dei colloqui di Parigi del 2015 è un errore […]”
E mentre si scatena il dibattito politico, l’informazione continua a creare confusione o meglio, a non creare consapevolezza. In Italia mentre si brinda al risultato, i media pubblicano notizie divergenti. Qui la notizia dell’Ansa: “2013 anno nero per l’eolico. Nel 2013 la capacità prodotta nel corso dell’anno è stata di 35.464 MW declinando considerevolmente da quella registrata nel 2012 di 45169 MW (fonte GWEC Global Wind Energy Council)”. Qui quella di Repubblica.it, nel blog di Valerio Guerrazzi, autore di 2050: “13 anni fa nel mix energetico europeo l’eolico era una striminzita fettina di torta (2%) che faticava a sfamare i fabbisogni, mentre quella del fotovoltaico (0,..%) era talmente sottile da essere addirittura invisibile. Oggi la fotografia ci dice qualcos’altro: sole (9%) e vento (13%) insieme all’1% della biomassa rappresentano quasi un quarto della torta. Inoltre, insieme all’idroelettrico (16%), portano l’elettricità rinnovabile a ben oltre un terzo (39%) del totale prodotto in Europa (dati Ewea, l’associazione europea per l’energia eolica)”.
Guerra dei numeri a parte, un dato dovrebbe indurre alla riflessione e a comunicarlo è Guenther Oettinger, il commissario europeo all’Energia: “il meno 40% è troppo ambizioso. Occorre puntare sullo shale gas e serve un impegno internazionale”. Secondo Oettinger infatti, “chi crede che questo obiettivo possa salvare il Pianeta è arrogante e stupido”. La UE, secondo il comissarrio all’Energia, “è responsabile oggi di appena il 10,6% delle emissioni globali di gas serra e questa quota scenderà al 4,5% nel 2030. Pensare che con questo 4,5% si possa salvare il pianeta non è realistico, c’è perciò bisogno di un impegno internazionale”.
Ancora una volta quindi l’Europa sembra andare in ordine sparso senza definire le priorità che, secondo Manuel Barroso, sono la reindustrializzzazione e il costo dell’energia. Una corsa i cui esiti si conosceranno il 20 e 21 marzo prossimi (data prevista per la discussione del pacchetto clima in Consiglio Europeo nda) e che vedrà impegnati i singoli parlamentari in una campagna elettorale che si giocherà anche a colpi di CO2.
Nel frattempo l’Italia sta preparando la sua task force di esperti, insieme ad Enea e Rse (Ricerca sul sistema energetico), per capire quale incidenza avranno le proposte di Bruxelles sia sulla riduzione di Co2, sia sui prezzi che sugli investimenti.
E mentre a Palazzo Chigi si preparano ad affrontare le nuove sfide europee sul clima, sul campo si sta già consumando la battaglia che si preannuncia asprissima. Sul piede di guerra, oltre alle lobby del settore rinnovabili e non, anche associazioni ambientaliste, comitati e cittadini.
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