Grazie alle politiche europee di sostegno all’energia alternativa, i costi per l’utilizzatore finale di energia sono scesi fino a un valore stimato in 48 miliardi di euro, ovvero lo 0,3% del PIL. Ancora lontano il raggiungimento del target del 20% di efficienza energetica.
“La riduzione del sistema incentivante non significa che le nostre politiche di supporto alle energie rinnovabili verranno meno. I tagli sono piuttosto un segnale che alcune tecnologie stanno diventando competitive rispetto all’energia tradizionale e che ci stiamo muovendo verso una fase dove il supporto pubblico non sarà più necessario”.
Così Hans van Steen, Capo Unità della Commissione Europea, DG Energia, spiega in un’intervista a “Bianco, rosso e green economy” come l’Europa si stia muovendo per raggiungere gli obiettivi 20-20-20, alla luce anche della crisi economica-finanziaria. Proprio in questi giorni è in discussione al Parlamento Europeo la nuova proposta su come risparmiare energia, coinvolgendo tutti i settori economici dei paesi membri.
Alla luce della crisi finanziaria degli stati membri, i Governi, tra cui anche l’Italia, stanno tagliando i sussidi alle energie rinnovabili e molte aziende sono in bancarotta. Il raggiungimento degli obiettivi europei è forse in pericolo
Dal momento dell’adozione degli incentivi, il settore delle energie rinnovabili europeo si è sviluppato più velocemente di quanto previsto. Molti Stati membri hanno sperimentato una crescita rapida nell’installazione di tecnologie per le energie rinnovabili. Diciotto Stati sono oggi in netto vantaggio rispetto alla traiettoria di sviluppo dell’energia rinnovabile stabilita dalla Direttiva, tra cui l’Italia. A seguito delle economie di scala e dei miglioramenti della tecnologia, i costi unitari di diverse tecnologie rinnovabili, sono scesi fino al 50%, come il fotovoltaico. In questo contesto la Commissione ha stabilito che sono necessarie delle riforme negli schemi di incentivi alle energie rinnovabili, per essere in linea con i costi di produzione decrescente.
Tuttavia abbiamo anche ripetutamente detto che le riforme devono essere intraprese seguendo le best practice di tutta Europa. E’ necessario minimizzare danni e confusione sia per gli investitori sia per il settore delle energie rinnovabili che stanno creando lavoro e crescita, di cui in questo momento c’è grande bisogno, in particolare nei paesi attraversati dalla recessione.
Quindi, avanti tutta con il raggiungimento dei target prefissati dalla Direttiva 20-20-20?
La crisi economica influisce ovviamente sul raggiungimento dei target 20-20-20 (20% di produzione da fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico e 20% in meno di emissioni di anidride carbonica). Vale la pena però far notare che non significa necessariamente che sarà più difficile raggiungerli.
Sì, ma i costi chi li supporterà?
Come mostrato nell’analisi della Commissione del maggio 2010, raggiungere il target di riduzione del 20% di emissioni di gas serra e il 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili, entro il 2020, in termini assoluti ha dei costi più bassi di quanto originariamente previsto: i costi per l’utilizzatore finale di energia sono scesi fino a un valore stimato in 48 miliardi di euro (ovvero lo 0,3% del PIL). Un ruolo determinante in questo processo lo hanno avuto le energie rinnovabili che rappresentano quindi un investimento sul futuro stimato in 34 miliardi di euro all’anno per il periodo 2016-2020
Qualche mese fa si è parlato di rivedere il piano dedicato all’efficienza energetica perchè troppo costosto per gli Stati. Quali i prossimi passi?
Secondo le analisi mostrate nel Piano di Efficienza Energetica Europea del 2011, l’Unione non riuscirà a raggiungere il suo obiettivo del 20% di efficienza energetica: nel 2020 arriverà a risparmiare solo il 10% Per recuperare questo gap la Commissione ha messo sul tavolo una proposta per l’efficienza energetica che evidenzia strumenti precisi per tutti i settori dell’economia. Questa proposta è attualmente in discussione al Parlamento Europeo. L’efficienza energetica porta crescita economica e lavoro a livello locale. In altre parole la riduzione del gap con l’obiettivo del 20% significa un’aumento del PIL UE di 34 miliardi di euro nel 2020 e un aumento netto dell’occupazione di 400 mila unità
“Chi inquina paga”: con la crisi economica che morde è forse anacronistico. Come vi state muovendo per far rispettare questo principio che è al centro dei target 2o-20-20?
Attraverso lo schema di Emission Trading europeo, l’Unione Europea ha stabilito un “cap”, cioè un limite all’ammontare totale di certi gas serra che possono essere emessi dalle industrie, dagli impianti energetici e da altre installazioni in Europa. All’interno di questo limite le aziende ricevono quote di emissione che possono vendere o comprare, al fine di adempiere agli impegni derivanti dalla ratifica del Protocollo di Kyoto. Gli Emission Trading Scheme europei hanno stabilito un prezzo per le emissioni di carbone e il meccanismo sta funzionando bene, come previsto. I cambiamenti da introdurre nel 2013, cioè uno spostamento progressivo verso la vendita all’asta delle emissioni, miglioreranno ulteriormente la sua efficacia.
Leggi qui l’intervista a Hans van Steen in inglese
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