Gli iconici blue jeans, tanto amati, indossati e quasi mai riciclati, sono tra gli indumenti più inquinanti per consumo di acqua ed emissioni di anidride carbonica
Prendiamo l’esempio di una fabbrica in Tunisia dove vengono assemblati tutti i materiali necessari per la realizzazione di un paio di jeans e scopriamo che, da quando vengono realizzati a quando finiscono in un negozio in Europa, hanno già fatto il giro del mondo una volta e mezzo.
- Il cotone proviene dal Mali;
- Il blu indaco, che da il colore tipico del jeans necessario per la tintura, proviene dalla Germania;
- Il rame per la realizzazione dei bottoni viene dalla Namibia;
- Lo zinco per i bulloni viene dall’Australia;
- Le pietre necessarie per sbiadirli ad arte proviene dalla Turchia;
- La cerniera, invece, viene dal Giappone.
In media 12 paesi sono coinvolti nella realizzazione di un paio di jeans.
Per non parlare poi del consumo di acqua e della produzione del cotone.
“La quantità di acqua necessaria alla produzione di un paio di jeans è equivalente al fabbisogno di acqua per 100 giorni di vita di una persona che vive in occidente e di un anno di una persona che vive nel sud Sahara”
Per il cotone si utilizzano un quarto dei pesticidi prodotti in tutto il mondo. Spesso i lavoratori li utilizzano in dose elevate e senza protezioni.Questi pesticidi negli ultimi anni sono stati vietati in Europa. Ma non in India, paese in cui viene coltivata la maggior parte del cotone utilizzato nell’industria della moda.
“Il procedimento più inquinante è quello denominato stone washed, che contienine Cloro e permanganato di potassio. La formaldeide viene utilizzata per renderli più resistenti”.
Una bomba ecologica che ha visto i maggiori produttori correre ai ripari. Ad esempio la Levi’s che al carattere democratico del jeans in fatto di vestibilità, comfort e prezzo, ha aggiunto quello della sostenibilità https://www.levi.com/US/en_US/features/sustainability. Il più significativo dei traguardi è la riduzione drastica dell’acqua per la finitura del denim, nell’ultima fase della realizzazione del jeans: in media 45 litri. Con la tecnologia waterless la quantità impiegata può scendere dal 20% fino all’88 per alcuni capi della nuova collezione. Al momento applicato al 67% dei capi, il risparmio risulta di 20 milioni di litri all’anno (come otto piscine olimpioniche).
Ma il traguardo è arrivare all’80% di tutti i prodotti entro il 2020. Anno nel quale è previsto che il 100% del cotone impiegato provenga da risorse sostenibili, per la coltivazione vengano impiegati quantitativi minori di acqua e di prodotti chimici. Con scarti zero per quelli pericolosi.
Un denim più sostenibile e più attento all’ambiente senza dimenticare quello che abbiamo nell’armadio. Ad esempio, il vecchio Levi’s 501, tanto amato, indossato e ora dimenticato potrebbe diventare uno shorts di tendenza https://marketplace.asos.com/boutique/nonaprirequellarmadio#f:category=denim-shorts con la vita ripensata da una vecchia passamaneria vintage o quello a zampa, ora tornato di tendenza, ritrova nuova vita grazie a fiori hippie e applicazioni colorate.
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