La fotografia di quali sono le opportunità occupazionali offerte oggi dal settore delle energie rinnovabili alle donne e, quali gli eventuali rischi, è stata tracciata dal progetto “Wires – Women in Renewables Energy Sector”, condotta dal Centro Studi internazionali e comparati “Marco Biagi”. Lisa Rustico, curatrice dell’iniziativa e Assegnista di ricerca presso il Centro Studi Marco Biagi Internazionali e Comparati dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, racconta in esclusiva a “Bianco, rosso e green economy” come stanno le cose quando si parla di lavori “verdi al femminile”,
D. Quando si parla di green jobs c’è spesso molta confusione. Quali sono le attuali e concrete opportunità di green jobs al femminile oggi e, quale la fotografia del progetto Wires?
Innanzitutto, la confusione riguarda il significato di “green jobs” e la collocazione, diversa da Paese a Paese, dei cosiddetti “lavori verdi” nel mercato del lavoro. Dal 2009 ad oggi il progetto WiRES – Women in Renewable Energy Sector – ha voluto contribuire alla ricerca sui lavori verdi per le donne proponendo alcuni spunti e creando una rete internazionale, con riferimento al settore della produzione di energie rinnovabili. In sintesi, abbiamo constatato che, accanto a qualificate opportunità occupazionali in grandi imprese multinazionali, i profili professionali distintivi del settore tendono ad essere caratterizzati da alta specializzazione tecnica, disponibilità alla mobilità geografica, condizioni di lavoro sul campo spesso impegnative: requisiti che potrebbero rischiare di escludere le donne dalla platea di lavoratori qualificati e interessati a intraprendere una carriera nel settore.
I green jobs sono una reale opportunità di nuova occupazione al femminile o sono un rischio dovuto al fatto che questi nuovi posti di lavoro nascono a seguito della perdita di altra occupazione?
Una risposta univoca non esiste. Uno studio attento della letteratura in materia rivela come la promozione, a livello politico, delle industrie della economia verde abbia, di fatto, oscurato alcuni fattori di rischio legati al suo sviluppo. Tra gli altri, come hanno sottolineato le organizzazioni internazionali e i sindacati, la perdita di posti di lavoro causata dai processi di riconversione industriale; ma anche fenomeni di dumping sociale che, soprattutto per i Paesi in via di sviluppo, si tradurrebbero in un incremento di diseguaglianze sociali già oggi profonde e radicate. In generale, il tema è quello della qualità dei lavori verdi, in termini di condizioni di lavoro, retribuzione, e, appunto, pari opportunità. Con riferimento a questo profilo, le opportunità lavorative per le donne diventeranno reali se queste saranno in possesso di titoli di studio e qualificazioni adeguate, oltre che esperienza lavorativa nei campi scientifico-tecnologici distintivi della maggior parte delle industrie definite green, le rinnovabili, l’edilizia e i trasporti.
Oggi le donne, nel settore delle energie rinnovabili, sono praticamente assenti dagli impianti di produzione, mentre nella logistica, nella finanza e nell’amministrazione rappresentano il 50%. Che cosa è necessario fare dal suo punto di vista per promuovere occupazione femminile di alto livello anche in questo settore?
I fattori su cui far leva sono istruzione e formazione. Fino a che non ci saranno donne interessate e desiderose di intraprendere percorsi di studio e carriere nei settori tecnici, non potremo aspettarci di trovare manutentrici o installatrici. Né possiamo aspettarci che le imprese ricerchino donne per queste posizioni, poiché, come oggi accade, non le troverebbero. Oltre all’istruzione e formazione iniziale, anche ad alti livelli, è importante la formazione continua, per accompagnare le lavoratrici adulte nella transizione verso la green economy, permettendo loro di formarsi e riqualificarsi, e non restare fuori dal mercato del lavoro.
Il rischio è che anche il settore delle rinnovabili diventi un settore prettamente maschile. Come vede il ruolo della politica e quali a suo avviso gli investimenti da fare per la formazione?
La politica dovrebbe occuparsi di rispettare quanto ci chiede l’Europa in materia di standard ambientali e pari opportunità, oltre che fornire stabilità del quadro istituzionale e certezza degli incentivi pubblici. Quanto agli investimenti in formazione, ritengo soprattutto importante la sensibilizzazione della istruzione primaria ai temi ambientali, affinché i valori di una società più rispettosa dell’ambiente giungano a tutti, uomini e donne, anche al di là delle future scelte di studio e di lavoro. Parimenti importante è l’investimento in ricerca e sviluppo nelle tecnologie “verdi”. Il resto è nelle mani dei cittadini, che sono i veri responsabili e gli artefici della transizione a una economia più eco-sostenibile: le imprese, i sindacati, gli intermediari di forza lavoro, le scuole e le università, i lavoratori stessi e le loro famiglie.
A livello europeo com’è la situazione oggi e quali, le differenze, rispetto all’Italia?
In Europa sembrano crescere le opportunità nei mercati dei lavori verdi. Ma non ci sono dati certi e inequivocabili. Sappiamo poi che oltreoceano la green economy sta lasciando senza lavoro centinaia di persone, a seguito del fallimento di imprese sussidiate pubblicamente che, all’improvviso, si ritrovano obbligate a chiudere i battenti, strette nella morsa della crisi. Quanto al nostro paese, le anomalie del mercato del lavoro italiano, soprattutto con riferimento alle cosiddette “fasce deboli”, rischiano di riflettersi anche sui nuovi settori e sulla nuova occupazione. È pur vero che le imprese della green economy operano, in moltissimi casi, su scala transnazionale e possono così offrire a giovani e donne italiani un trampolino di lancio per carriere eco-sostenibili, in Italia e all’estero.
Molto interessante. Non c’è modo di accedere al rapporto originale?
Grazie
Grazie Federico per il commento. Per il rapporto originale puoi contattare lisa.rustico@unimore.it
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