Viso pulito, treccine bionde e aria innocente: questa è Greta Thunberg, sedicenne attivista svedese che ha scatenato l’ondata di proteste studentesche (e non) del Fridays for Future coinvolgendo migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo e rendendo l’emergenza climatica un tema di attualità, discussione e soprattutto portando il problema a un livello di consapevolezza
«Abbiamo solo 11 anni per salvare la nostra specie. Il Pianeta sta bruciando», questo lo slogan che si legge sul sito di Friday for Future. Una chiamata che ha ricevuto tantissime risposte, individuali e organizzate: basti pensare che ad oggi sono attivi 137 gruppi locali in altrettante città. Il nostro Paese, allo sciopero globale dello scorso 15 marzo (replicato il 27 settembre), ha fatto il record di presenze a livello mondiale.
Non ci consideriamo un movimento ambientalista, perché il cambiamento climatico non è un problema ambientale ma sociale, economico, politico. Quindi siamo un movimento, prima di tutto umanista, che affronta la più grande problematica dell’umanità di oggi. Tutti insieme, con i nostri scioperi, proviamo a cambiare il sistema, non solo le sorti del clima (attivista 23enne di Friday for Future)
E allora chi sono questi ragazzi che sembrano non voler raccogliere il testimone del movimento ambientalista degli anni 80/90, quando ancora parlare di emergenza climatica voleva dire essere dei catastrofisti? Sono giovani. Comunicano su Telegram, applicazione di messaggistica istantanea. La parola gerarchia nel loro movimento non esiste. Studenti delle scuole superiori, ma anche della scuola media e dei primi anni d’università: i rivoltosi del venerdì sono ragazzi informati, critici, fiduciosi nei confronti della scienza e attenti a ciò che anni gli studiosi ripetono: per salvare il pianeta non c’è più tempo. Generazione Greta, Generazione Z, Green Generation: l’importante non è etichettarli, ma tenerli sotto osservazione. Perché, come dice lo scrittore Antonio Moresco, autore tra l’altro di un appassionato pamphlet sul rischio d’estinzione della nostra specie, “Il grido” (Sem) “sono una generazione entrata di scena all’improvviso, che ha scavalcato di colpo quella precedente. Questo perché in gioco c’è la radice dell’uomo, il suo contatto stravolto con la natura, la fine che incombe. Tutto ciò i più piccoli lo capiscono per primi”.
La protesta di Milano del 27 settembre scorso
Una generazione che, nonostante le etichette, sembra fare sul serio e che a suon di messaggi via Whatsapp e flash mob in piazza ha letteralmente sovvertito le vecchie regole del movimento ambientalista che per anni – e con fatica – ha cercato di far passare gli stessi messaggi. Greta, con la sua faccia pulita ma determinata è arrivata alle coscienze più di un Alexander Lang, più di tante associazioni e altre realtà che di ambiente si sono sempre occupate. O meglio. Greta ha fatto propri alcuni principi di chi, quando ancora non era nata, cominciò a parlare della necessità di trasformare l’economia in un sistema di produzione ecologico e sostenibile senza però farsene portavoce. Semplicemente svegliandosi e protestando ogni venerdì di fronte al Parlamento svedese, senza alcuna bandiera se non la necessità di voler vivere in un mondo migliore.
E allora, viene spontaneo domandarsi se la narrazione adottata in tutti questi anni dal movimento ambientalista non sia stata troppo catastrofista, incomprensibile e poco vicina a quello che davvero sono le esigenze delle nuove generazioni? Oggi servono scelte coraggiose e un’elemento centrale: l’impegno per dichiarare subito l’Emergenza Climatica e avviare la fuoriuscita dai combustibili fossili e un piano operativo di adattamento ai cambiamenti climatici che generi nuova occupazione e più sicurezza.
Ed è proprio questo che Greta sembra aver fatto: aver avuto coraggio e di essere andata avanti per la sua strada senza farsi strumentalizzare. E se Greta ha catalizzato la voglia di impegno, e resta il punto di riferimento per tutti, scendere in piazza, far sentire la propria voce, prendere posizione, sta risvegliando, a sorpresa, la voglia di politica di tanti giovani in tutto il mondo. E in un mondo migliore anche noi adulti dovremmo imparare a non etichettarli ma osservarli per imparare da loro ciò che per anni abbiamo tentato di fare, senza alle volte riuscirci.
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