Anche per le piccole e medie imprese dilaga la corruzione: il 20% paga le tangenti. Metà degli imprenditori ha ricevuto richieste di denaro e solo uno su dieci si è rivolto alle forze dell’ordine.
Per chiudere un lavoro da 100mila euro bisogna metterne almeno in conto 10mila da investire per oliare gli ingranaggi della burocrazia” afferma un imprenditore. Sono i piccoli appalti e le commesse minori la nuova frontiera della tangente. E’ quanto emerge da un’indagine dell’Adnkronos: 5 pmi su 10 hanno rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno; 2 imprese su 10 ammettono di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma; 4 su 10 pensano che possano essere costrette a farlo in futuro.
Significativo anche il dato che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, solo 1 su 10 si è rivolta alle forze dell’ordine. Altrettanto eloquente la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un ‘sistema consolidato‘: 8 imprese su 10 pensano che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.
Il fenomeno è diffuso sia nelle contrattazioni tra privati sia nei rapporti con la pubblica amministrazione. Nel primo caso, le imprese si trovano spesso a dover pagare intermediari per vincere gare d’appalto improvvisate e condotte senza regole. Un fenomeno, questo, che viene segnalato in crescita rispetto al più tradizionale ricorso alla bustarella per tentare di pilotare gli appalti pubblici, che ha aumentato la sua diffusione tra quelli di importi ridotti, abitualmente ‘frequentati’ dalle piccole e medie imprese.
Uno tra gli imprenditori che ammette di aver pagato per ottenere lavori accetta di parlare con l’Adnkronos della sua esperienza, ovviamente dietro assicurazione di anonimato. Le tangenti, spiega, “non sono più solo quelle di una volta, anche se la bustarella per corrompere l’ufficiale pubblico resiste ancora”. Quasi sempre, soprattutto per le imprese più piccole, si tratta di corruzione di basso livello, che coinvolge il geometra del piccolo comune o il responsabile della sicurezza di un cantiere. Per non parlare dei vigili urbani. “Per chiudere un lavoro da 100mila euro bisogna metterne almeno in conto 10mila da investire per oliare gli ingranaggi della burocrazia”, sintetizza l’imprenditore.
Un’altra forma sempre più diffusa di corruzione, prosegue, è quella che riguarda l’intermediazione per ottenere appalti e commesse: “si pagano vere e proprie commissioni, spesso anche ad altre imprese, che girano lavori, concedono subappalti e gestiscono anche micro gare senza alcuna regola o garanzia”.
E, allora, perché non denunciare e chiedere legalità? La risposta è rassegnata. “Perché da solo non puoi cambiare nulla, ottieni un solo risultato, spesso irreversibile: non lavori più”. Questo, fa notare l’imprenditore, “senza considerare tutti i rischi, personali e per l’azienda, per eventuali ritorsioni”. Perché, spiega, “l’altro aspetto che si sottovaluta è che la corruzione è spesso strettamente legata a fenomeni e comportamenti malavitosi”.
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