Nell’autunno 2010 stipulati gli accordi commerciali tra Governo italiano e cinese.
Tra questi, quello per la produzione di energia solare fotovoltaica nel nostro Paese. Valore dell’accordo, 100 milioni, firmato da BP Solar Italia, BP Cina e The Export-Import Bank of China.
Il Bengodi europeo delle fonti rinnovabili che fa felici cinesi e fondi esteri, così Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera ha definito l’Italia in un articolo sul suo giornale del 15 febbraio scorso. Terra promessa per la generosità degli incentivi – superiori dell’80% rispetto alla media europea per i piccoli impianti e del 40-50% per quelli più grandi – e, terra di conquista per chi vuole accaparrarsi territorio senza rispettare troppo le regole.
In Puglia, secondo dei dati della Provincia di Brindisi, alcune società sarebbero riuscite ad aggirare la legge con tanti mini impianti da un megawatt. Per questo tipo di installazioni non è prevista la valutazione di impatto ambientale e, con il nome di un’altra società, lo stesso imprenditore può fare un altro impianto e, un altro ancora, fino ad ottenere un maxi impianto fotovoltaico.
L’eccesso di burocrazia favorisce i disonesti che approfittano delle lungaggini burocratiche: almeno un anno per vedere autorizzato un impianto di piccola taglia, due anni per uno grande. I tempi, così come le complicatissime carte da bollo per ottenere il via libera, fanno lievitare di almeno il triplo del suo valore iniziale il prezzo di vendita del progetto. Prezzo che finisce inevitabilmente nelle nostre bollette. 5,7 miliardi di euro all’anno, tanto pagano i consumatori per incentivare le rinnovabili che, secondo Mucchetti, finiscono per il 70% all’estero.
Qualcuno però è già corso ai ripari. In Francia il Governo ha imposto, oltre alla riduzione degli incentivi, il congelamento per tre mesi di tutti i progetti fotovoltaici, in attesa della definizione delle nuove regole di investimento. Il Ministro per l’Ambiente Nathalie Kosciusko-Morizet , durante un’audizione in Parlamento ha infatti dichiarato che la politica ambientale deve “creare posti di lavoro in Francia, non incentivare l’industria cinese”.
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