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Continua la guerra dei pannelli solari tra Ue e Cina mentre arriva la risposta di Pechino. 

“I dazi anti-dumping voluti dall’Unione Europea sui pannelli solari cinesi non salveranno i produttori europei e potrebbero portare a un “involontario disastro”. 

E’ il messaggio contenuto in un editoriale comparso sull’agenzia di stampa statale Xinhua, alla proposta di imporre, dal prossimo 6 giugno, dazi pari al 47% agli esportatori di celle e moduli provenienti dal Dragone. La critica cinese si basa sulla constatazione che “persino i gruppi europei hanno ammesso che il vantaggio cinese sul prezzo finale è il risultato delle economie di scala, trainato in parte dalla crescita esponenziale nella domanda globale di energia solare negli ultimi anni“. Nel suo editoriale, la Xinhua giudica “fuorviante” attribuire ai produttori cinesi la colpa della mancanza di competitività dei produttori europei, e bolla come “protezionismo commerciale” la mossa dell’Ue.

Tra le prime reazioni ai dazi c’è quella del consorzio dei produttori europei Afase (Alliance for Affordable Solar Energy) gruppo che riunisce 450 aziende attive nel settore e viene generalmente considerata una propaggine degli interessi dei produttori cinesi nell’Unione Europea. Le voci degli ultimi giorni -prima che fosse fissato nel 47% del valore dei pannelli cinesi esportati nell’Ue il valore dei dazi- avevano già provocato la reazione del consorzio filo-cinese, che aveva definito le speculazioni “estremamente allarmanti”. In una nota, Afase cita i dati di uno studio condotto da Prognos, secondo il quale un’imposizione di dazi del 60% costerebbero all’Ue 242mila posti di lavoro e 27 miliardi di euro nei prossimi tre anni. Il 5 aprile scorso, durante un’audizione presso la Commissione Europea, il gruppo aveva poi dichiarato che “lo sviluppo attuale del mercato non lascia spazio ad aumenti dei prezzi e che i dazi a un livello del 15% distruggeranno l’85% della domanda di fotovoltaico dell’Ue”. Di conseguenza, “imporre dazi  provvisori sulle importazioni di pannelli solari dalla Cina andrebbe contro l’interesse dell’Unione Europea”. Afase è poi anche contraria all’imposizione dei dazi provvisori che “porrebbero fine a gran parte dei progetti del fotovoltaico nell’Ue e causerebbero seri danni, a cui nessun negoziato concluso dopo l’imposizione di dazi potrebbe porre rimedio“.

Un’offensiva che è solo all’inizio a cui Pechino, secondo gli esperti della Fondazione Italia Cina, risponderà con le rime. Sulla base di numeri provenienti dalle dogane cinesi, elaborato dalla Fondazione Italia Cina per MF-Milano Finanzia in edicola oggi, risulterebbero a rischio il settore auto, l’industria aeronautica, le aziende di equipaggiamento trasporti e l’export di strumenti ottici. “Malgrado l’export cinese abbia perso terreno (tra il 2005 e il 2007 le esportazioni rappresentavano il 60% del Pil locale, contro il 55% di oggi) – ha dichiarato Thomas Rosenthal, direttore del Centro studi per l’impresa della Fondazione Italia Cina – non ha intenzione di perdere altro terreno su questo fronte. Per questo è lecito aspettarsi in futuro ritorsioni in forma bilanciata da parte degli asiatici, ma non per forza simmetriche. Anche tramite il ricorso a barriere commerciali di carattere informale, legate per esempio agli standard di prodotto”. “Da questo punto di vista – ha concluso il direttore del Cesif – il bagaglio di manovre che possono essere attuate è ampio e in passato la Cina ha già dimostrato di saperle usare in maniera molto efficace”.

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