Avviate ufficialmente dalla Cina le procedure di indagine anti-dumping e sui sussidi di Stato sul vino europeo come rivalsa per la procedura che l’Unione Europea ha condotto sui pannelli solari. Secondo Coldiretti l’inchiesta mette a rischio +377% dell’export di vino.
La notizia era già nota ma la novità è che l’avvio dell’indagine da parte della Cina arriva con un mese di anticipo. A riportarlo è Winenews.it, l’agenzia di informazione sul mondo del wine & food che raccoglie anche le preoccupazioni degli operatori del settore vitivinicolo.
L’iniziativa da parte del Governo cinese arriva infatti alla vigilia di un periodo cruciale per le cantine italiane, divise tra gli ultimi decisivi mesi che portano alla vendemmia e le ferie estive. In pratica, da oggi al 20 luglio, le aziende e le parti in causa che vogliano farlo, possono registrarsi nella lista da cui il Governo cinese sorteggerà poi il campione di indagine, sui siti http://gpj.mofcom.gov.cn e http://www.cacs.gov.cn.
L’avvio ufficiale da parte della Cina dell’indagine antidumping e antisussidi nei confronti delle importazioni di vino europeo mette così a rischio la crescita record delle esportazioni di vino made in Italy che, nel primo trimestre 2013, sono aumentate di ben il 377% sullo stesso periodo 2008, anno di inizio della crisi. A lanciare l’allarme è Coldiretti.
L’indagine avrà una durata di un anno ma potrebbe prorogarsi fino al 1 gennaio 2015 e colpirebbe soprattutto Francia, Italia e Spagna che esportano vino nel gigante asiatico dove – sottolinea la Coldiretti – si è registrato il più elevato tasso di aumento del pianeta nei consumi, che hanno raggiunto i 18 milioni di ettolitri, il quinto posto tra i maggiori paesi bevitori. Nel 2012 il vino italiano ha realizzato in Cina un fatturato di 77 milioni di euro.
Il 30 luglio verranno inviati i questionari alle aziende e alle parti in causa selezionate, ed entro il 5 settembre dovranno essere rispedite indietro le risposte che sarannpoi esaminate dalle autorità cinesi. Il procedimento è “volontario”, ma se nessuno si iscrivesse, la Cina potrebbe decidere di stabilire “arbitrariamente” a chi inviare i questionari. In questo caso, una volta che fossero accertate pratiche di dumping da un lato e/o sussidio di Stato dall’altro, che in qualche modo avrebbero danneggiato l’industria enoica cinese, e poiché non c’è stata collaborazione per accertare il contrario, la Cina potrebbe decidere di applicare a tutti i vini Ue i dazi “compensativi” massimi possibili. Altrimenti, eventuali dazi verrebbero applicati solo se dalle indagini venisse effettivamente dimostrato che ci sia stato dumping (ovvero vendita sotto al prezzo di costo) o aiuti di stato, ad ogni singola azienda, valutando caso per caso la gravità della situazione e il “grado di collaborazione” nelle indagini. Nel mirino ci sono tutte le tipologie di vino, dagli spumanti ai rossi, bianchi e rosati fermi, e ai vini liquorosi, confezionati e sfusi.
“L’agroalimentare italiano non può essere oggetto di scambio e ancor meno di ritorsione come è avvenuto troppo spesso nel passato perché rappresenta uno dei pochi asset su cui può contare il Paese per tornare a crescere. Di fronte ad “un calo del 7% nei consumi interni di vino sono le esportazioni a salvare il bilancio del settore con un aumento complessivo del 10% nel mondo che sale all’11% in Cina” ( Sergio Marini, presidente Coldiretti).
Nel frattempo, giovedì 4 luglio è fissata a Bruxelles una riunione dell’associazione dei produttori europei guidata da Lamberto Gancia (alla guida di Federvini), e venerdì 5 ci sarà il primo incontro al Ministero per lo Sviluppo Economico, che coordinerà le attività del Governo italiano in materia. Una notizia, in ogni caso, che preoccupa non poco i produttori italiani, tanto quelli che già esportano in Cina, che quelli che pianificano di farlo in futuro, perché dazi aggiuntivi potrebbero frenare la crescita del vino italiano soprattutto nella fascia media del mercato, che in prospettiva è quella che fa più gola a tutti, peraltro in un periodo in cui la Cina, in virtù di accordi economici bilaterali diversi, sta facilitando l’ingresso di vino di basso prezzo da Paesi come il Cile o l’Australia.
Fanno benissimo i cinesi, è ridicola questa limitazione.
Assolutamente concorde. Rischiamo di uscirne con le ossa rotte: il wine & food è uno dei settori strategici in questo momento per l’Italia