La storia di Michela Pasquarelli, architetto
In occasione della giornata di chiusura di Image, l’evento tenutosi a Torino dedicato alla formazione manageriale dei professionisti della Green Economy, ho voluto intervistare Michela Pasquarelli, architetto romano, per testimoniare direttamente cosa vuol dire oggi essere un “professionista del costruire sostenibile”. Una professione non facile dove spesso l’approssimazione è di casa e dove manca ancora, troppa, informazione.
Bio o bioarchitetto? “L’importante”, mi spiega Michela Pasquarelli, architetto romano, “è fare bene il proprio lavoro e sapere che quello che si sta facendo è utile a tutti”. Michela ha 39 anni, è madre di 2 figli, un maschio di 5 anni e una bambina di 1 ed è regolarmente sposata. Insomma, come dice lei, “sono una donna normale, una donna che da oltre 10 anni si occupa di costruzioni ecosostenibili o, come è di moda definirla ora, di bioedilizia”.
Un fiume in piena di parole Michela, quando racconta con grande entusiasmo di “non perdere la fantasia perché anche la bioedilizia è vicina al traguardo del riconoscimento,a tutti gli effetti, del costruire moderno”. “La domanda”, mi dice, “è tanta, si tratta solo di stringere i denti ancora per poco e poi sarà una realtà anche in Italia”.
Un punto di vista importante quello di Michela che ha iniziato la sua carriera, dopo una Laurea in architettura, quattro anni di pratica presso studi di ingegneria e poi, tanto, tanto cantiere, quando ancora l’architettura sostenibile era all’inizio. “Erano in pochi ad investirci”, spiega Michela, “e quei pochi facevano pure il lavoro con scarsa professionalità e senza che nessuno potesse controllarne i risultati. Questo, negli anni successivi, ha portato alla perdita di fiducia verso l’intero settore che si sta riprendendo solo oggi grazie alle nuove normative sull’efficienza energetica e sul costruire usando materiali che non impattano sull’ambiente”.
“Quando ho iniziato a fare questo mestiere”, prosegue Michela “eravamo due donne e un uomo e abbiamo potuto iniziare la nostra attività grazie ad un finanziamento dedicato all’imprenditoria femminile e, l’unica che non si è scoraggiata, sono stata io. Il mio carattere e alcune circostanze favorevoli mi hanno permesso di continuare, nonostante le non poche difficoltà. Oggi però posso dire di essere riuscita a fare ciò che mi piace e a cui mi dedico con grande passione. Certo, non è un lavoro facile: ci vuole tanta pazienza non solo perché la normativa non ti viene incontro ma soprattutto perché costruire o ristrutturare case usando la bioedilizia vuol dire aspettare l’asciugatura delle vernici, aspettare che sia pronto il laterizio adatto ecc. Insomma i materiali biosostenibili seguono, in un qualche modo, i ritmi della natura e spesso questo mi crea problemi anche con le imprese con cui lavoro che vogliono chiudere il cantiere al più presto e non capiscono come si deve lavorare in questo ambito”,
“Dal mio punto di vista”, mi racconta ancora Michela, “è po’come fare qualcosa di utile e bello ma senza metterci la dovuta cura. I clienti con cui lavoro capiscono quale sia il valore aggiunto di avere una casa in classe A; i colleghi spesso no perché è molto più facile usare un materiale pronto che non uno da realizzare ad hoc”.
“Certo”, conclude Michela, “oggi per chi si avvicina alla specializzazione bioclimatica è tutto più facile. E’ tutto più bello, ci sono un sacco di norme e regolamenti a favore dell’efficienza energetica e nel Lazio addirittura Ambientale (Legge Regionale 6/2008, e attuale adozione Protocollo Itaca)”.
L’invito di Michela è quindi quello di andare avanti perché il lavoro non manca ed è importante insistere.
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