Il 7° rapporto MOPambiente ha recentemente fotografato gli atteggiamenti e i comportamenti degli italiani che, nel loro percorso verso la consapevolezza, sono distratti da un’altra attualità
Risl, società che opera nel settore delle relazioni istituzionali e studi legislativi, ha recentemente commissionato ad Eurisko GfK la settimana edizione del Rapporto MOPAmbiente su come gli italiani vedono e vivono le tematiche ambientali. Da una prima analisi dei dati emerge che, di fatto, la coscienza ambientale (ben diversa da quella ambientalista) è ben lungi dall’essere radicata in Italia.
L’impegno verso la tutela dell’ambiente, ancora oggi, emerge nel momento in cui viene imposto dalle leggi e, comunque, poco dipende dalle azioni del singolo.
Come di consueto in Italia, si preferisce “sottovalutare” il proprio ruolo, rimandando agli altri il problema: in questo caso molto è richiesto alle aziende che vengono valutate dai cittadini anche per il loro impegno sociale ed ambientale.
Insomma gli investimenti in comunicazione e marketing hanno avuto il loro giusto ritorno. Evidentemente però la consapevolezza che ciò che non fai oggi ti ritorna in un qualche modo, domani, non è stata acquisita.
La solita lettura del “tutto bene o tutto male” ha probabilmente assestato il colpo finale alla coscienza ambientale di chi dovrebbe comunque pensare che far del “bene all’ambiente” è un impegno che tutti siamo chiamati a rispettare. L’informazione raramente obiettiva ha avuto un ruolo nel creare ulteriori dubbi e reale conoscenza del tema.
Dai dati Eurisko emerge poi che chi può permettersi di essere eco-consapevole o eco-attento è comunque una minoranza elitaria. Sembra quasi che il rispetto dell’ambiente sia una cosa per ricchi e scolarizzati. Certo se pensiamo solo a che cosa voglia dire “le tonnellate di Co2 risparmiate in atmosfera” e, a quanto queste valgano realmente in termini di prevenzione all’inquinamento e tutela della salute, è chiara la confusione e la poca chiarezza dei messaggi. I casi sono due: o l’astmosfera vale un tanto al chilo oppure devo aver studiato per capirne l’esatto significato. In entrambi i casi la Co2 è un valore troppo distante dal mio quotidano e per questo posso anche disinteressarmene.
Passiamo allora all’analisi dei dati della ricerca Eurisko secondo un altro punto di vista, quello non ufficiale che “Bianco, rosso e green economy” cerca sempre di mantenere per alimentare il dibattito e il confronto sui temi che ruotano intorno alla green economy.
Il trend generale che emerge dalla ricerca, con poche eccezioni circoscritte, è comunque improntato a sostanziale stabilità, addirittura con qualche negatività.
E’ tra il 2007 e il 2008 che le tematiche ambientali vivono il loro momento d’oro, mentre nel periodo dal 2005 al 2008 l’incremento è pressoché stabile. E’ dal 2008 in poi, con l’inizio della crisi e, fino al 2012, che l’andamento è discendente.
In pieno Governo Berlusconi, quindi, là dove i temi ambientali sembravano del tutto trascurati e trascurabili che muovono i primi passi leggi, leggine ed economie di scala, solo apparentemente di secondo livello. La più importante, l’approvazione della Direttiva Europea 202020, con per le prime politiche a favore dell’efficienza energetica e la riduzione dei consumi privati, il primo schema di Emission Trading, le prime versioni di incentivi a favore delle energie pulite e il recepimento e l’attuazione di altre leggi sul riciclo e riduzione dei rifiuti. Un “movimento silenzioso” che evidentemente ha destato l’attenzione dell’opinonione pubblica mettendo le prime basi per la green economy di casa nostra ma su cui, probabilmente, non si sono mantenute le posizioni a causa, tra l’altro, dell’attuale crisi
Nel 2008 infatti chi parlava di temi ambientali superava chi non ne parlava: oggi se ne parla meno e ci sono il 10% in più di persone che non ne parlano, rispetto a chi ne parla. Di fronte a questo dato, ovviamente decresce anche la voglia di informarsi così come la frequenza con cui ci si informa. Il dato, in quanto tale, non dà spazio a troppi interpretazioni ma si potrebbe forse riflettere sul ruolo dei media in questo contesto che probabilmente non sono riusciti a formare una vera e propria coscienza ambientale nel grande pubblico ma solo ad attirarne l’attenzione su temi specifici, preferibilmente legati all’emergenza o all’eclatanza.
In termini generali quindi, secondo la nostra analisi dei dati, l’attenzione all’ambiente è stabile e “lascia un po’ il tempo che trova”.
In questo contesto naturalmente anche il ruolo della politica non si salva: dal 68% del 2003 passiamo al 57% di oggi dove l’ambiente lascia il posto a tematiche più pressanti di cui, secondo gli intervistati, i nostri politici dovrebbero occuparsi.
Dando un’occhiata al comportamento dei singoli emerge, ad esempio, che l’uso della borsa della spesa è cresciuta del 22% perché in Italia, dall’anno scorso e in via definitiva quest’anno, è obbligatorio non usare i sacchetti di plastica. Anche quando si parla di riutilizzo di materiali, la percentuale sale: dal 2009, ad oggi, il 12% in più dei cittadini riutilizza i materiali e ciò è dovuto anche allo sviluppo dei servizi di raccolta e all’obbligatorietà.
In ultimo, stupisce che, secondo l’analisi Eurisko, nel giro di soli sei mesi (da giugno a dicembre 2011) quasi la metà degli intervistati dichiara di non aver acquistato almeno un prodotto perché non responsabile dal punto di vista ambientale e sociale. La percentuale di questi virtuosi passa da un terzo a quasi la metà.
Il rispetto della responsabilità sociale d’impresa rimane sempre tra le priorità: le aspettative nei confronti delle aziende sono crescenti. Il 18% in più degli intervistati chiede alle aziende maggiore attenzione verso prodotti che non danneggiano l’ambiente.
Insomma italiani eco-egoisti che, in momenti di crisi, riducono sì i consumi – e i costi – ma senza preoccuparsi delle conseguenze e del bene comune.
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