La fabbrica che non c’è e che avrebbe dovuto produrre 100MW di moduli fotovoltaici all’anno
A Scandicci, in provincia di Firenze, c’è un pezzo di riconversione industriale italiana che se ne sta andando, nel silenzio assoluto, mentre le cronache acclamano le energie rinnovabili dimenticando i 375 lavoratori che oggi non sanno che fine farà il loro posto di lavoro.
“Se l’Italia non resterà al buio”, è perché “inizia l’era del vento e del sole”, così titola un articolo di oggi di Repubblica, Questo vuol dire che per fare energia con queste fonti qualcosa di italiano deve esserci. Ad esempio i pannelli fotovoltaici che fino all’anno scorso erano prodotti anche dalla ISI di Scandicci. Una produzione 24 ore su 24 dove le celle fotovoltaiche venivano assemblate una per una dalle mani esperte degli operai per poi essere compattate, verificate, controllate e finalmente testate prima di essere immesse sul mercato. Una produzione che è ferma ormai da oltre un anno e che oggi è stata dichiarata fallita, così come è fallito il grande progetto di riconversione green dell’area industriale di Scandicci dove dai frigoriferi si passò, nel 2009, alla produzione di moduli fotovoltaici.
La decisione del tribunale fallimentare di Firenze parla chiaro: la ISI non ha versato la cauzione di 150 mila euro per essere ammessa al concordato preventivo e la società è stata dichiarata fallita. A questo punto tutto passa dalle mani del curatore fallimentare, che sarà l’interlocutore diretto per la nuova cordata Easy Green, guidata da Sebastiano Gattorno, che vede la partecipazione di Angelantoni Industrie, Bassilichi e l’impegno di Fidi Toscana.
Per la ISI si prospetta quindi un’altra, ennesima, reindustrializzazione e la proprietà ha tempo fino al 30 giugno per presentare il nuovo piano industriale coi relativi livelli occupazionali. Per il 3 novembre prossimo è stata fissata l’udienza per la verifica dello stato passivo.
Come più volte riportato in questo blog, è da marzo di quest’anno però che i 375 lavoratori sono senza stipendio e senza alcun sostegno al reddito, dopo un’odissea iniziata nel febbraio del 2008. Risale ad allora la denuncia della multinazionale svedese Electrolux di iniziare un’investigazione per verificare la produttività degli stabilimenti prevista dal suo piano di risanamento. L’intenzione è chiara: chiudere Scandicci e mandare a casa i 450 lavoratori – di questi il 40% sono donne, e ci sono anche 50 nuclei familiari in cui marito e moglie sono impiegati in azienda. Partono scioperi, manifestazioni, e iniziative clamorose, tra cui l’occupazione della FI-PI-LI o l’invio di cartoline con le immagini dei figli degli operai, sostenuti dalla solidarietà della cittadinanza e delle istituzioni. L’annuncio ufficiale della chiusura arriva a maggio, ma nel frattempo parte una serrata trattativa, sia a livello locale che nazionale, per convincere l’Electrolux a cedere il sito produttivo: dopo un lungo tira e molla la multinazionale accetta di vendere e affida ad un advisor americano le pratiche per individuare potenziali acquirenti. Per la nuova attività, ci sono tre ipotesi: comparto freddo, auto ecologiche e energia pulita. Il 30 luglio la svolta: a essere scelta è Mercatech, fondo di investimento anglo-americano guidato dal manager italiano Stefano Cevolo, con un progetto di re-industrializzazione tramite l’azienda Energia futura, multinazionale sua controllata che si occupa di energie rinnovabili eoliche e fotovoltaiche con in tasca un pacco di commissioni da 330 milioni già previste per i prossimi due anni.
L’accordo per il passaggio di proprietà si concretizza a cavallo tra il 2008 e il 2009: prevede la riassunzione di 378 dipendenti e l’esubero per circa 60 (molti pre-pensionati). Il 6 aprile del 2009 partono i corsi di formazione per i primi 90 dipendenti, poi le prime ri-assunzioni (130 operai) e la ricostruzione delle linee di produzione. Oggi all’entrata di via Meucci, a Scandicci, c’è un grande cartello con scritto “La fabbrica che non c’è”
“Vincenzina davanti alla fabbrica,
Vincenzina il foulard non si mette più.
Una faccia davanti al cancello che si apre già.
Vincenzina hai guardato la fabbrica,
come se non c’è altro che fabbrica
e hai sentito anche odor di pulito
e la fatica è dentro là…
(Enzo Jannacci, “Vincenzina e la fabbrica”)
La ISI fallisce perchè semplicemente è stata una truffa a danno dei lavoratori e alle finanze pubbliche. Pensate che i signori che erano a capo di ISI hanno ricevuto per ogni operaio riassunto dalla vecchia elettrolux 60000 euro. Andrebbero contati anche i danari dati dalla regione ai signori ISi, con il consenso di regione partiti politici e sindacati.
Non è che quell’area sarà venduta e cambiata la destinazione d’uso per favorire i soliti palazzinari? E i quasi 400 lavoratori rimarranno con il cerino in mano e una dignità distrutta da questi senz’anima!!!
Purtroppo il copione si ripete da tanto tempo e anche settori nuovi e “puliti”, come quello delle rinnovabili, ne sono coinvolti.
Si tratta di capire ora, però, che fine faranno gli operai. Ad oggi non si è arrivati ad un accordo e gli operai non hanno ancora ricevuto l’assegno di sostegno promesso dalla Regione.
Grazie e continua a seguirmi.
Ma come si fa a fallire in un settore in cui la crescita negli ultimi anni nel nostro Paese è stata a tre (e dico 3!) cifre? Dove c’è una fame di moduli fotovoltaici impressionante e che vengono importati oltre che dalla solita Cina e Corea anche da Germania, Spagna e Stati Uniti, solo per citare i principali Paesi? La produzione nazionale non soddisfa che una minima parte del fabbisogno interno (proprio in questi primi mesi del 2011 siamo diventati la seconda potenza fotovoltaica MONDIALE superando di slancio Spagna Cina e Stati Uniti e unicamente a ridosso dell’inarrivabile Germania). Se fallisce questo tipo di aziende allora dovrebbe fallire l’Italia TUTTA (che ha settori in maggioranza con il segno meno) o ci sono GRAVISSIME lacune manageriali…
Vittorio penso purtroppo che la tua seconda ipotesi sia la corretta. Purtroppo gli imprenditori italiano sembra preferiscano abbandonare la nave non quando affonda ma quando ha portato ciò che doveva portare, In questo caso il profitto a tre cifre come dici tu. Il problema però è forse il sistema: se il piatto è troppo ricco (come sono stati gli incentivi) mi ci ficco e al diavolo tutto il resto.
Temo che l’ISI sarà solo la prima di una serie, spero non troppo lunga.
Continua a seguirmi e grazie
Lucia
buongiorno a tutti,
mi rammarico senza interruzioni da oltre 20 anni del livello di imprenditorialità “italiana”, che se si esce dalle aziende a conduzione familiare, è uguale uguale a quella dei partiti politici. non si và oltre il naso.
ma una autogestione?
io sono un piccolo operatore del settore, ma non avrei paura ad affrontare la ricostruzione di una azienda di produzione di 100 mw annui, serve solo la volontà e sicuramente quella dei lavoranti è la più importante.